Frugando tra i miti e le storie che accompagnano l’esperienza del diventare genitore ho scoperto la tradizione di una tribù africana che mi ha molto incuriosito.

In questa tribù la data di nascita di un bambino coincide con il giorno in cui questo arriva come pensiero nella mente della madre. Quello è l’istante in cui tutto comincia ed è quello il momento in cui il figlio viene concepito.

Giocare con l’etimologia delle parole ci fa osservare come il verbo concepire abbia a che fare con l’accogliere in sé: da una parte, l’essere fecondati e, dall’altra, l’ideare, immaginare, ricevere nell’animo.

La storia africana racconta che quando una donna decide di avere un bambino, si siede sotto un albero e ascolta finché sente il canto del suo bambino. Dopo averlo sentito raggiunge colui che sarà il padre del bambino e gli insegna il canto; mentre fanno l’amore, i due cantano la canzone del bambino, per invitarlo a raggiungerli.

Il desiderio di diventare genitore, madre o padre, è accompagnato da mille piccoli ed intimi rituali, che risultano indispensabili ad intessere i legami e le relazioni che caratterizzeranno il nido ed il fare famiglia. Le famiglie non sono che genitorialità incarnate. Anne Cadornet sottolinea come la genitorialità sia quel sistema che attribuisce dei figli a dei genitori e dei genitori a dei figli, combinando in modi diversi e nelle diverse epoche e culture tra loro le dimensioni di alleanza e filiazione e residenza.

Così prende forma una visione della genitorialità che ne valorizza l’energia creativa contenuta nel desiderio di dare alla luce un figlio. Il desiderio, l’atto di desiderare, significa letteralmente cessare di contemplare le stelle a scopo augurale; allude alla distanza tra il soggetto e l’oggetto di desiderio e al moto dell’animo che li lega. Desiderare è guardare con l’affetto a qualcosa che non si ha e che piace. Il desiderio ha a che fare con il legame tra colui che desidera e l’oggetto del desiderio; ha a che fare con la progettualità che conduce la persona e, laddove esiste, la coppia a costruire la propria genitorialità, muovendosi tra idee e immagini, aspettative ed esperienze.

Questa progettualità ha bisogno di spazio per essere raccontata e di tempo per essere esplorata e di intimità per essere condivisa. Le persone che intraprendono il viaggio verso la propria genitorialità spesso si sentono disorientate rispetto ai modi per fare spazio a questa esperienza e coltivare quel legame, che già esiste nel momento stesso in cui il desiderio di paternità e di maternità prende forma e dal quale nascerà l’incontro.

Il concepimento è un incontro di progettualità, quella della persona, del genitore, dei genitori e quella della creatura che verrà al mondo. Verena Schmid nota che anche i bambini hanno un loro personale progetto di nascita e spesso questo progetto non coincide con quello dei genitori. Stare in ascolto del senso che il desiderio di diventare genitore, l’esperienza di genitorialità e l’incontro con l’unicità del proprio figlio permette alla persona ed alla coppia di realizzare la propria creatività lasciando andare rigidità, convenzioni e giudizi.

Mi piace concludere questa riflessione tornando un momento alla storia della tribù africana. Durante la gravidanza, la madre insegna il canto del bambino alla levatrice e alle anziane del villaggio, perché quando il piccolo verrà alla luce esse possano innalzare quel canto per dargli il benvenuto. Condividere con il proprio mondo affettivo l’energia che sta nel desiderio di diventare genitore e nel proprio progetto di vita rappresenta una possibilità preziosa di costruire creativamente una vita di buona qualità ed un nido accogliente.

Per approfondimenti:

  • Cadoret A. (2008). “Genitori come gli altri. Omosessualità e genitorialità“. Milano, Universale Economica Feltrinelli.
  • Schmid V. (2005). “Venire al mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita“. Milano, Universale Economica Feltrinelli

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